A partire dal 1995, durante gli studi universitari di Ingegneria, mi sono dedicato alla pittura e a curiosare nel mondo dell’arte in generale.
Dopo 13 anni trascorsi a dipingere quadri con colori a olio incentrati su temi di ispirazione più che altro metafisica e surrealista, nel 2008 ho ricevuto da parte di Maria Livia Brunelli la proposta di partecipare ad un corso di orientamento all’arte contemporanea, che prevedeva dei laboratori con altri artisti all’incirca miei coetanei.
Il corso, tenuto da Ketty Tagliatti e Maurizio Camerani, prevedeva una mostra finale, a cui inizialmente avevo pensato di partecipare con una delle mie classiche opere in stile surreale.
Durante il corso, tuttavia, tramite gli stimoli ricevuti e una riflessione mia personale su quanto avevo fatto fino ad allora, mi resi conto che sarebbe stato molto più interessante rimettermi in discussione, cercando di approfittare al massimo di quella esperienza di confronto.
Cominciai quindi ad elaborare opere per me nuove, in cui ritoccai alcune fotografie di architettura inserendo negli spazi, dipinti a olio, insetti “giganti”.
Il soggetto “insetto” mi venne quasi naturale, sia per una mia attrazione, sin dai primi anni di infanzia, verso queste creature, sia perché, essendo di dimensioni molto piccole, se inseriti come mastodontici in spazi architettonici, creavano un effetto di straniamento.
Il primo insetto che disegnai, per avere un’idea dei tempi di realizzazione, fu una formica relativamente piccola (circa 100×150), seguita da un ragno 150×150, in cui valutai anche il riempimento dello sfondo, che decisi di abbandonare, optando per fondali neutri, senza ambientazione.
Marcello Carrà
Se durante il corso avevo dipinto insetti su piccole foto, in seguito mi venne la curiosità di realizzare delle gigantografie, in modo da approfondire le caratteristiche anatomiche di questi animali.
Scelsi come strumento – dopo anni di pittura a olio che comportava comunque l’utilizzo di diversi elementi (pennelli, tela, trementina, olio, tubetti, ecc.) – uno strumento semplice come la penna biro di colore nero, che cominciai ad utilizzare su grandi fogli di carta da scena colore giallo.
Il primo insetto che disegnai, per avere un’idea dei tempi di realizzazione, fu una formica relativamente piccola (circa 100×150), seguita da un ragno 150×150, in cui valutai anche il riempimento dello sfondo, che decisi si abbandonare, optando per fondali neutri, senza ambientazione.
Il vero primo insetto gigante fu però un moscone, di dimensioni finali 150×333 cm. L’esecuzione di questa opera mi diede molta soddisfazione e così decisi di continuare, anche perché le forme degli insetti sono praticamente infinite e molto diversificate tra loro.
Fu quindi la volta di un cervo volante, di uno scarabeo rinoceronte, di un calabrone, e via così.
Ogni opera è stata realizzata utilizzando unicamente la quadrettatura di piccole immagini, senza procedere a proiezioni.
Le foto mi sono servite soprattutto per definire la sagoma dell’insetto sul foglio di grandi dimensioni, dopodiché il chiaroscuro è stato in parte fedele al supporto fotografico in parte ha seguito il mio sentire di volta in volta, cercando di creare accostamenti grafici interessanti.
Terminato un buon numero di disegni, nel 2010, con il tramite di Maria Livia Brunelli e Angelo Andreotti, fu possibile organizzare una mostra a Casa dell’Ariosto, dal titolo “Insetti – Vite fragili sulla punta di una biro” e, praticamente in concomitanza, grazie all’interesse e collaborazione del direttore Fausto Pesarini, altre cinque opere di grandi dimensioni trovarono una bellissima collocazione al Museo di Storia Naturale di Ferrara, affiancate alle teche di insetti veri della collezione del museo.
L’attrazione per gli insetti è nata nei primi anni della mia vita, in quanto, rimanendo sovente a giocare nel giardino a casa di mia nonna materna, venivo a contatto con questi piccoli animali, soprattutto le formiche. Già a quell’età ho maturato l’idea della fragilità di queste creature. I concetti di caducità e debolezza fisica mi hanno condotto a mantenere una grande curiosità per gli insetti. Allo stesso tempo, in realtà, essi rivelano una grande forza, per svariati motivi: l’incredibile capacità riproduttiva, la loro resistenza alla fatica,
l’organizzazione sociale, le loro stesse dimensioni, che consentono di sfruttare luoghi a noi inaccessibili, e infine il fatto che non possiedono, a quanto pare, le unità sensoriali deputate all’avvertimento del dolore, il ché li rendono quasi delle creature soprannaturali.
Quando ho cominciato a disegnare insetti, mi sono reso conto che uscivo dalle dimensioni umane, per entrare in quelle dell’insetto stesso. Ho creato infine delle rappresentazioni grafiche più grandi di me, riscattando un concetto che spesso ci sfugge, ovvero che anche gli insetti, come tutti gli animali, grandi o piccoli che siano, hanno una individualità. Come dice lo stesso Pesarini: “ogni singolo insetto ha avuto una sua storia e avrà una sorte che lo renderanno diverso e unico tra tutti gli esemplari della sua specie. Perché ogni singolo insetto è una vita a sé, la sua casa è questa Terra e il suo cielo è lo stesso cielo che vediamo noi umani. E in fondo siamo solo noi a decidere che una vita sotto questo cielo sia meno degna di un’altra di essere vissuta”.
Da questa riflessione sulla unicità di ogni animale è nata l’idea di accompagnare i disegni con una lapide riportante i dati anagrafici e la causa della morte. Si è compone quindi una galleria di individualità che emergono per una volta dall’anonimato alla stregua di «personaggi», monumentalizzati e trasfigurati come icone dinanzi alle quali siamo costretti a sostare e a pensare, ciascuno accompagnato da questa targa commemorativa. Li riconosciamo per una volta nella non intercambiabilità della loro esistenza con quella di tanti altri esemplari di quelle schiere per noi solitamente insignificanti.
Nel 2011 ho realizzato il disegno di insetto più grande, 200×800 cm. Rappresenta una cavalletta, tutta realizzata con la penna biro e sempre con la quadrettatura. Dato che il mio studio non consentiva di stendere l’intero foglio per avere la visione di insieme, ho lavorato il soggetto per porzioni di circa un metro o un metro e mezzo, arrotolando e srotolando man mano. Quando ho dovuto tracciare la lunga linea delle ali, dal momento che, disegnando per settori, avrei rischiato di realizzare una “segmentata”, anziché una curva, ho trasportato il rotolo presso Casa dell’Ariosto e lì ho tracciato a carboncino la parabola in tutta la sua estensione, terminando poi il disegno presso il mio studio. Ad oggi risulta ancora il mio disegno più grande e mi ha impegnato un centinaio di giorni da febbraio a maggio del 2011.